La congiura di Palazzo Braschi

La delusione per i risultati ottenuti dalla delegazione italiana nella conferenza di pace di Parigi e il conseguente diffondersi presso l’opinione pubblica del mito della “vittoria mutilata” furono terreno fertile nel giugno 1919 per il propagarsi insistente di notizie riguardanti la possibilità di un colpo di Stato di stampo conservatore e autoritario in Italia.
Tale ipotesi divenne oggetto di ampio dibattito pubblico e prese il nome di “congiura di palazzo Braschi”: si sarebbe trattato di un piano eversivo ordito dall’alleanza di nazionalisti, arditi e organizzazioni combattentistiche , a cui avrebbero preso personaggi di primo piano come il Duca d’Aosta, il generale Gaetano Giardino, Gabriele D’Annunzio, Luigi Federzoni, Benito Mussolini e Giulio Douhet. Lo scopo sarebbe stato di impadronirsi della sede del governo, per costringerlo a dimettersi e rimpiazzarlo con un esecutivo sotto tutela dei militari
Tali indiscrezioni vennero sdegnosamente respinte come fantasiose dagli ambienti nazionalisti ma furono prese molto sul serio dalle autorità che vi indagarono senza però condurre a risultati concordanti: mentre il prefetto di Roma confermava l’ipotesi di complotto parlando di apposite riunioni di nazionalisti e militari e sconsigliando di autorizzare l’arrivo di D’Annunzio a Roma, a conclusioni opposte giunse invece il ministero dell’Interno che respinse l’idea di comitati segreti di nazionalisti e arditi aventi finalità di rovesciamento violento del governo.
Ad avvalorare la tesi del complotto furono molti anni dopo, a seconda guerra mondiale conclusa, le memorie del generale Enrico Caviglia. Persona probabilmente ben informata dei fatti, anche come papabile presidente di questo governo golpista, Caviglia scriverà come tale eventualità ideata dai nazionalisti avesse poi preso piede negli ambienti di esercito e marina. Il fatto poi che tali voci fossero state rilanciate dall’ambasciatore inglese in Italia James Rennel Rodd, il quale scrivendo al suo ministro degli esteri Lord Curzon, parlava di 800000 membri coinvolti nel tentativo sovversivo, è una ulteriore testimonianza della fondatezza dei timori sulla tenuta delle istituzioni dello Stato liberale italiano.

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