Ebert, primo presidente della Repubblica di Weimar

Socialista dapprima fedele all’istituzione imperiale e alla sua politica di potenza, poi convertitosi al pacifismo e alla repubblica, Ebert può considerarsi una figura emblematica delle contraddizioni che visse la Germania di primo Novecento. Friedrich Ebert nacque ad Heidelberg nel 1871. Figlio di un artigiano sellaio seguì le orme professionali del padre per poi trasferirsi a Brema nel 1892.
A partire dal 1899 divenne un attivista socialdemocratico e sindacalista, inserendosi nella corrente del cosiddetto socialismo revisionista: egli non mostrò particolare interesse per le lotte ideologiche del marxismo, preferendo concentrarsi verso il miglioramento delle condizioni economiche della classe lavoratrice tedesca. Grazie al sostegno del suo mentore Bebel divenne nel 1905 segretario del comitato centrale del Partito socialdemocratico (SPD),mostrando capacità organizzativa e di ammodernamento della struttura amministrativa del partito, ad es procurando le prime macchine da scrivere e migliorando i sistemi di archiviazione. Grazie a queste doti, e dopo essere stato eletto deputato al Reichstag, alla morte di Bebel assunse la carica di presidente del Partito:. Sotto la sua direzione il partito accrebbe la sua influenza nella politica del Paese e assunse una posizione di deciso sostegno all’impegno militare della Germania nella prima guerra mondiale, garantendo i voti socialdemocratici al governo durante il conflitto.
La corrente maggioritaria dell’SPD seguì la sua linea, ma nel marzo del 1917 il partito dovette fronteggiare una scissione a sinistra con la creazione del Partito socialdemocratico indipendente della Germania (USPD), che respinse con decisione I finanziamenti e la politica di guerra della Germania. In seguito anche un altro gruppo si separò dall’SPD per formare il Partito comunista tedesco (KPD). Mentre gli scissionisti propendevano per la svolta rivoluzionaria, Ebert e il suo partito rimanevano fautori di una democrazia parlamentare.
L’andamento sfavorevole del conflitto indussero però Ebert a modificare le sue posizioni: appoggiò la risoluzione del 19 luglio 1917 al Reichstag con la quale si invitava il governo a cercare una pace senza annessioni territoriali e sulla riconciliazione tra i popoli e il 13 agosto 1918 fece un discorso in cui chiese la pace immediata. Non prese parte alla rivoluzione del novembre 1918 condotta da spartachisti e indipendenti, ma dopo aver invano tentato di stabilire una reggenza per salvaguardare l’imperatore, accettò il fatto compiuto e dopo l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II, proclamò la Repubblica il 9 novembre 1918. Quello stesso giorno, succedendo a Max, principe di Baden, aveva assunto il posto di cancelliere, formando un governo provvisorio autodefinitosi Consiglio dei commissari del Popolo che aveva l’appoggio dei socialdemocratici e dei socialisti indipendenti. Come capo del governo Ebert preparò le elezioni per l’Assemblea nazionale costituente, e con il sostegno del ministro della difesa Noske represse la rivolta degli spartachisti nel gennaio 1919.
Il 13 febbraio 1919 l’Assemblea costituente, riunita a Weimar, lo nominò presidente della neonata Repubblica. La Costituzione repubblicana conferiva ampi poteri al Presidente e Ebert ne fece largo uso per reggere le sorti dello Stato tedesco in un turbolento dopoguerra caratterizzato da omicidi politici ( Erzberger nel 1921; Rathenau nel 1922), tentativi di colpi di Stato ( Kapp nel marzo 1920; il putsch di Hitler nel 1923) e una crisi economica con inflazione e disoccupazione che avevano sconvolto il Paese.
Ebert sognava la riconciliazione definitiva tra l’esercito (la Reichswehr) e i socialdemocratici) ma l’occupazione delle Ruhr da parte francese mise in crisi il suo obiettivo e scatenò un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica di cui approfittarono i nazionalisti per guadagnare consenso. A rendere ancora più precaria la situazione per il presidente una violenta campagna stampa lanciata nei suoi confronti dal Mitteldeutsche Zeitung che lo accusava di aver fomentato le rivolte del 1918. Nel processo che ne seguì il giornale venne condannato ma le motivazioni della sentenza davano sostegno alle accuse. Ebert che pure aveva visto prorogato il suo mandato presidenziale, apparve provato fisicamente dallo scandalo, e morì pochi mesi dopo nel 1925.

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