30 marzo 1282, lunedì di Pasqua: in serata i Palermitani si apprestano a celebrare i Vespri. I Siciliani trattengono da tempo a stento l’irritazione per il governo dei francesi, sopratutto a causa del fisco sempre più gravoso e dei continui soprusi che intaccavano perfino le prerogative della classe baronale.
Gli Angioini avevano acquisito il controllo del regno di Sicilia nel 1266 quando Carlo I lo tolse a Manfredi, figlio di Federico II, con la battaglia di Benevento. L’intervento di Carlo I, fratello di Luigi IX il Santo, fu sollecitato anche dal papato, preoccupato per la crescente influenza dell’Impero sulla penisola italiana.
Ciò che accade quella sera è destinato a cambiare la storia dell’isola: a raccontarci tutto nella sua Historia Sicula è Bartolomeo di Neocastro, cronista medievale testimone oculare di una guerra che impegnerà la Sicilia per un ventennio. I palermitani si stanno riunendo nella chiesa di Spirito Santo, alla periferia della città e l’aria di festa non riesce a nascondere la tensione verso i francesi che circolano ostili per la città. Un gruppo di soldati angioini ubriachi giunge sul sagrato della chiesa e uno di loro con la scusa di controllare che non sia armata, allunga le mani sotto le vesti di una donna: è la provocazione attesa dai Siciliani per far scoppiare la rivolta. Uno degli uomini che accompagnano la donna si scaglia contro il soldato autore del gesto villano, gli sottrae la spada e con la stessa lo infilza a morte. La ribellione si diffonde per tutta Palermo al grido di “Morte ai Francesi!”. Il mattino seguente giacciono sulle strade i cadaveri di circa duemila francesi. I palermitani insorti istituiscono subito una comune, nominano un capitano del popolo e inviano emissari nelle altre città dell’isola per invitarli alla rivolta. Pochi giorni dopo anche Corleone, Trapani e Caltanissetta si sollevavano. Alla fine di aprile fu il turno di Messina città che era particolarmente importante dal punto di vista strategico per la vicinanza all’Italia peninsulare e perchè nel porto era ancorata la flotta angioina: è a questo punto che Carlo d’Angiò si rese conto della gravità della situazione.
Il re francese, che sino ad allora non aveva mai preso in considerazione le lamentele dei siciliani oppressi dalle tasse e dalle requisizioni, riconobbe gli eccessi e proibì ai suoi funzionari atti come la confisca di beni senza adeguata compensazione e l’incarcerazione senza causa. Tuttavia i rivoltosi non si fidarono dell’iniziativa angioina e proseguirono nella loro lotta.
Era evidente che per il successo della rivolta dei Vespri era necessario un influente appoggio esterno. Dapprima i siciliani lo cercarono nel papato, inviando un ambasceria a Roma, ma il Papa francese Martino IV parteggiava per gli angioini e si rifiutò di sostenere le ragioni delle Comuni sicule. Queste allora si volsero verso la Spagna e invocarono l’aiuto di Pietro III D`Aragona il Grande (1239-1285) sposato con Costanza Hohenstaufen di Svevia, figlia di Manfredi, ed unica erede legittima della dinastia degli Sveva che aveva regnato sull’isola dal 1194 fino all’avvento degli angioini e che i siciliani rimpiangevano. Il sovrano aragonese accettò di appoggiare gli insorti anche perché la Sicilia in virtù della sua posizione strategica era l’ideale testa di ponte verso Tunisi che gli spagnoli avevano da tempo progettato di conquistare. Anzi, vi sono delle interpretazioni storiche che ritengono che la rivolta dei Vespri non sia stata solo un moto spontaneo, ma parte di una vasta cospirazione antifrancese di cui proprio Pietro III era tra i principali ideatori. Un ruolo centrale in questo complotto lo avrebbe svolto Giovanni da Procida, un salernitano legato agli Svevi, che dopo la conquista angioina cercò rifugio presso la corte di Pietro III da dove organizzò l’opposizione al comune nemico francese.
[banner size=”468X60″ align=”alignleft”]Nel 1278 uno dei figli di Giovanni da Procida, sbarcò in Sicilia travestito da francescano per organizzare la rivolta, per poi dirigersi a Costantinopoli in cerca di appoggio da parte dell’imperatore Michele VIII Paleologo, e a Roma dove papa Niccolo III si era mostrato sensibile alla causa siciliana. Ma il pontefice morì l’anno seguente e il successore Martino IV invece appoggiò gli angioini. Nonostante la defezione pontifica il figlio di Giovanni da Procida non si diede per vinto e tornò a Barcellona con il piano cospirativo già ben definito. La rivolta dei Vespri forse diede semplicemente un’accelerata agli eventi e Pietro III, che probabilmente attendeva solo lo spostamento dell’esercito francese verso la conquista di Costantinopoli, sbarcò in Sicilia a sostegno degli insorti e la Comune di Palermo corse a offrirgli la corona: venne proclamato re di Sicilia il 4 settembre mentre Carlo I d’Angiò si ritirava precipitosamente verso Napoli.
Il primo accordo che definì la questione tra Aragonesi e Angioini fu siglato il 31 agosto del 1302 a Caltabellotta, con la Sicilia che passava sotto controllo aragonese acquisendo la denominazione di regno di Trinacria mentre la parte continentale dell’Italia meridionale rimaneva agli angioini sotto il nome di Regno di Sicilia. Secondo il trattato la Sicilia doveva tornare il mano francese alla morte di Federico III d’Aragona, figlio di Pietro e Costanza e tra i firmatari dell’accordo. Ma costui riuscì a eludere l’impegno e la Sicilia rimarrà in mano spagnola fino agli inizi del XVIII secolo.